Sanità, il tesoro che dilapidiamo

Servizi d’avanguardia e pazienti disorientati
Tanti i problemi, ma ci sono le soluzioni

Pubblichiamo la lettera di un gruppo di medici, ex compagni di università, immatricolati insieme nel 1984, in servizio di diverse aree specialistiche, sia in ambito ospedaliero sia territoriale, e nella medicina di base, a Torino e nelle vicinanze. Si tratta di chirurghi, anestesisti, cardiologi, gastroenterologi, internisti, endocrinologi, pediatri, medici di famiglia, oculisti, otorinolaringoiatri, neurologi, radiologi, ginecologi, medici di laboratorio, urologi, geriatri: la loro è una testimonianza, in presa diretta, della situazione della Sanità pubblica in Piemonte. Tanti i problemi, sempre più complessi, che richiedono soluzioni ad ampio spettro e strategie di lungo respiro. Il documento è anche l’occasione di una riflessione su un tema-chiave per ogni cittadino e per ogni paziente con le interviste a due profondi conoscitori della Sanità: Walter Ricciardi e Giuseppe Remuzzi.

LA LETTERA Un gruppo di medici e specialisti si racconta “È ora di decidere come curarci nel prossimo futuro”
Non solo liste d’attesa: le nostre giornate tra tagli al budget ed eroismi personali

 I frequenti articoli relativi ai problemi del Sistema Sanitario Nazionale e alle liste d’attesa ci toccano e ci amareggiano. L’impressione è che si voglia, sottolineando i disservizi, sollevare un polverone che screditi la Sanità nel suo insieme, non distinguendo fra patologie, utenti e regioni di appartenenza. Il problema è complesso e non è certo offrendo quadri denigratori che si possono condurre i cittadini a comprendere ciò che sta succedendo negli ospedali e nelle varie strutture del territorio.
Le liste d’attesa  e la necessità di ricorrere al privato sono l’ultima stazione di un percorso tortuoso del 20 anni precedenti: definanziamento della Sanità, blocco del turn-over e piano di rientro hanno causato riduzioni significative degli organici e squilibrio rispetto ai carichi di lavoro reali. Limitate assunzioni, aumento di contratti atipici e riduzione dei posti nelle scuole di specialità hanno compromesso il ricambio generazionale e il trasferimento delle competenze professionali. Tra i medici, ormai di età media oltre i 50 anni, ovunque in carenza di organico e con un contratto di lavoro scaduto da oltre 10 anni, il “burnout” è frequente: carichi di lavoro in continuo aumento, innumerevoli ore di straordinario (non retribuite per contratto e non recuperabili per le carenze di organico), scarsa possibilità di progressione di carriera…
Ogni giorno il medico sa che potrà commettere un errore o venire accusato ingiustamente di averlo commesso. E la colpa medica in Italia, come in pochissime altre nazioni, è penale. La burocratizzazione esasperata, con crescenti oneri amministrativi e sistemi informatici lenti e complessi, rende le giornate dei medici una corsa ad ostacoli che rallenta l’attività clinica sottraendovi tempo ed energie.
La nuova organizzazione della Sanità, in particolare l’aziendalizzazione e la cosiddetta svolta manageriale, hanno posto l’area clinica in un ruolo di oggettiva subordinazione, nel quale non sempre ottiene risposta ai problemi assistenziali, anche se propone istanze concrete per risolvere le criticità.
Il sistema fa sì che il giudizio sull’operato dei medici venga posto prevalentemente sulla base di criteri economici, come risparmio su prescrizioni di esami e farmaci e riduzione dei tempi di degenza. La gestione dei sempre più numerosi pazienti pluripatologici è complicata dallo stretto controllo sul budget, con i medici di base costretti a centellinare le prescrizioni per l’attenzione delle Asl al risparmio. Spesso, di conseguenza, il paziente rimbalza dal territorio agli ospedali, in particolare ai servizi di pronto soccorso. Vengono demansionati operatori, ridotti posti letto, accorpati reparti e chiusi ospedali interi. I servizi del territorio non vengono adeguatamente potenziati. E paradossalmente vi sono eccellenze misconosciute e inutilizzate. Eppure ogni giorno tanti medici riescono ancora a garantire visite e prestazioni di elevata qualità. Grazie a professionalità e competenza, ma anche a sacrificio e dedizione; e lo stesso vale per altre figure sanitarie. Il sistema regge ancora. E vi assicuriamo che ciò che funziona bene spesso funziona bene proprio per quel di più di tempo, fatica e lavoro, ben oltre gli obblighi istituzionali, regalato per etica ed empatia: medici e altri operatori che si prendono cura dei pazienti al di là dell’orario, rimangono con un paziente instabile o con un collega impegnato in un’emergenza, si rendono disponibili per un colloquio, anche se è finito il turno di lavoro. Nonostante i suoi gravi problemi noi siamo orgogliosi della nostra Sanità pubblica, che non richiede una carta di credito, che garantisce a chiunque trapianti d’organo e tante altre prestazioni di alto costo per tecnologia innovatività. È un lusso di cui godono poche nazioni al mondo. In alcune aree, poi, i tempi di attesa sono brevissimi, come per l’iter dei pazienti con sospetto di neoplasia tramite i Cas delle Rete Oncologica del Piemonte. E se in altre aree vi sono liste d’attesa lunghissime, non dipende dai medici. Pur consapevoli della necessità di utilizzare in modo razionale le risorse economiche sempre più scarse, noi siamo tra quei medici sognatori per cui il centro rimane il paziente. Difendiamo il Sistema Sanitario Nazionale, ma vorremmo migliorarlo. Con una “spending review” competente, per ottimizzare le risorse, cancellare gli sprechi, proporzionare i carichi di lavoro; con un serio piano di assunzione di personale da motivare con mansioni coerenti, possibilità di formazione, carriera ed equa retribuzione. Il problema delle liste d’attesa potrebbe dare il via ad una riflessione su come la comunità vuole spendere il proprio denaro per curarsi, coinvolgendo il sistema sanitario privato, in un’ottica di bilanciamento e di vera sussidiarietà.
Sarebbe utile un tavolo di confronto con colleghi di altre regioni per contrastare la tendenza a screditare la Sanità, uno dei molti meriti della nostra civiltà. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’Italia è ai vertici per speranza di vita nell’Unione Europea, pur essendo al 12° posto per spesa sanitaria pro capite.

La Stampa, Martedì 2 Luglio 2019